50 SFUMATURE DI GUSTO: L’UOMO, ONNIVORO CURIOSO
IN LIBRERIA E ONLINE DISPONIBILE “A PROPOSITO DEL GUSTO”, L’ULTIMO SAGGIO DELL’ANTROPOLOGO ERNESTO DI RENZO, CASA EDITRICE CINQUESENSI
DAI CIBI PIU’ STRAVAGANTI ALLA CORSA AGLI ACQUISTI AI TEMPI DEL COVID. VIAGGIO IN 50 TAPPE ALL’INSEGNA DEL “DE GUSTIBUS NON DISPUTANDUM EST”
Vi siete mai chiesti la ragione per la quale gli Islandesi nutrono una passione sconfinata per la carne putrefatta dello squalo elefante mentre i Giapponesi nutrono un desiderio smisurato per il fogu, il famigerato pesce palla la cui costosissima degustazione sotto forma di sashimi produce ogni anno una casistica non trascurabile di morti?
Oppure vi siete mai chiesti perché l’aglio, il minestrone, i cavoletti di Bruxelles, le barbabietole, il fegato, i nervetti e il lesso, pur essendo dei veri toccasana per la pressione sanguigna, la tonicità dei tessuti, l’elasticità della pelle, la motilità intestinale, riscontrino un’avversione generalizzata?
O avete mai riflettuto sui flussi di acquisto e le modalità di consumo in questi mesi caratterizzati dal Covid-19?
Queste e moltissime altre questioni sui modi di mangiare in Italia e nel mondo sono al centro del viaggio che Ernesto Di Renzo, antropologo presso l’Università di Roma Tor Vergata, propone al lettore nel suo recente libro “A proposito del gusto”, pubblicato dalla casa editrice Cinquesensi. Nelle 176 pagine del saggio, lo studioso cerca di fornire delle risposte ragionate ad alcuni dei molteplici modi in cui le persone si rapportano ai cibi e alle pratiche del mangiare. Modi originali, curiosi, contrapposti, in alcuni casi addirittura pericolosi, che rivelano quanto i gusti siano differenti in rapporto alle epoche storiche e alle latitudini geografiche del pianeta. Confermando in qualche modo il celebre detto “De gustibus non disputandum est”.
“I gusti e i modi del mangiare non hanno a che vedere solo con la lingua, le papille fungiformi, il trigemino, l’ippocampo, la corteccia orbito-frontale o, naturalmente, con la fame – sottolinea Di Renzo – Se così fosse mangeremmo tutti quanti le stesse identiche cose. Al contrario, sono questioni che attengono soprattutto ai modi in cui gli uomini caricano gli alimenti, i piatti e gli stili di assunzione di significati culturali e di valori immateriali. Hanno inoltre a che vedere con il fatto che per il Sapiens mangiare non è mai stato un atto finalizzato alla semplice sopravvivenza, bensì una pratica volta a significare, e a dare pienezza di contenuti, al suo essere e volersi sentire umano: tra gli Europei come tra i Bantu, tra gli Italiani come tra gli Yanomami tra i Daiachi del Borneo come tra i Romani, i Milanesi o i Palermitani”.
Ernesto Di Renzo, abruzzese delle montagne ma da anni residente nella Capitale, è antropologo presso l’Università di Roma Tor Vergata, dove ricerca e approfondisce i significati culturali che l’uomo costruisce attorno al cibo e agli infiniti modi in cui decide di mangiarlo.